L’utilizzo di telecamere di sicurezza nelle nostre case, città e strade è un fenomeno a cui ormai siamo abituati. Se ne è parlato e se ne continua a parlare molto, soprattutto da quando è entrato in vigore il GDPR, ossia il Regolamento Europeo per la Privacy. Eppure, nonostante l’avanzamento tecnologico, l’ampia diffusione di informazioni e di prodotti per tutte le tasche, la realtà è che i “non addetti ai lavori” nutrono ancora molti dubbi sulla videosorveglianza.
Proprio ieri, mentre scendevamo le scale del palazzo, mio figlio mi ha chiesto se nel nostro condominio fossero installate delle telecamere. La domanda mi ha fatto sorridere perché, vista la totale assenza di dispositivi, non capivo come avesse potuto pensare una cosa del genere. Mentre gli spiegavo alcuni concetti basilari della privacy, per rispondere alla domanda, mi sono resa conto che il suo non era solo il punto di vista di un adolescente, ma quello di una qualsiasi persona che non abbia conoscenze specifiche di tecnologia, sicurezza o trattamento di dati.
Chiunque non “mastichi” questi temi potrebbe avere le idee confuse, alimentate peraltro da film e programmi tv di origine statunitense in cui si fa un uso indiscriminato delle telecamere. Nella realtà le cose sono molto diverse, specialmente in Europa dove è in vigore il GDPR.
I più comuni dubbi sulla videosorveglianza: telecamere nascoste
Una delle questioni che genera maggiore perplessità è se sia possibile installare telecamere nascoste. La risposta è assolutamente no. Uno dei principi fondamentali stabiliti dal Regolamento è, infatti, proprio l’obbligo di informazione chiara e inequivocabile delle attività di videosorveglianza.
In tutti gli ambienti pubblici o aperti al pubblico, gli utenti devono essere informati della presenza di telecamere con appositi cartelli che rimandano a informative estese.
Negli ambienti lavorativi vale lo stesso principio, ma la procedura è ulteriormente regolamentata. La realizzazione di impianti audiovisivi in presenza di lavoratori, infatti, è consentita solo previa stipula di un accordo collettivo con le rappresentanze sindacali dei dipendenti. In caso contrario, è necessaria l’autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro. In entrambi le situazioni, ai fini autorizzativi, le ragioni legittimanti sono esclusivamente ragioni organizzative e produttive oppure legate alla sicurezza sul lavoro o alla tutela del patrimonio aziendale.
Esiste, però, un’eccezione alla regola. Sulla base di una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, risalente al 2019, infatti, le telecamere nascoste sul lavoro sono ammesse, come extrema ratio, se esiste un fondato sospetto di furto con perdite ingenti. Situazioni come queste vanno però considerate dei casi limite che non hanno nulla a che fare con la nostra quotidianità.
Sistemi di videosorveglianza domestica
Il secondo dubbio più frequente riguarda la possibilità di installare liberamente delle videocamere da parte di privati. Il controllo da remoto di animali domestici, anziani e altri componenti della famiglia sta diventando una prassi sempre più diffusa. Anche le divergenze fra vicini di casa sta concorrendo a questo fenomeno. Ma quali sono i limiti imposti dalla norma? La questione è leggermente più complicata di quanto si pensi. Come è ovvio, chiunque può dotare la propria abitazione di un sistema di videosorveglianza domestica. L’elemento che fa la differenza è l’eventuale presenza di dipendenti, come colf, badanti o baby-sitter. Infatti, se sono passibili di essere ripresi, i lavoratori domestici vanno adeguatamente informati, come avviene per le altre categorie.
Il secondo elemento da tenere presente è il limite di inquadratura delle telecamere. Nel caso gli apparecchi siano posizionati nella proprietà privata, ma all’aperto, come nel caso di terrazzi, giardini o pianerottoli è assolutamente necessario evitare di riprendere parti comuni o aree pubbliche, come strade, parcheggi o simili.
Sistemi di videosorveglianza nei condomini
L’ultimo dei più frequenti dubbi sulla videosorveglianza è quello relativo all’installazione di impianti nei condomini. Negli ultimi anni, infatti, il bisogno di sicurezza è diventato prerogativa non solo di chi ha scelto di vivere in modo indipendente, ma anche di chi abita in edifici per appartamenti.
L’orientamento della giurisprudenza era piuttosto restrittivo fino all’entrata in vigore del GDPR. Una serie di sentenze avevano delineato una pratica basata sostanzialmente sulle seguenti indicazioni:
- l’angolo visuale della telecamera deve essere limitato agli spazi di pertinenza esclusiva del condomino che la installa, come l’accesso alla propria abitazione. Devono essere evitate dunque le riprese delle parti comuni, anche se le immagini non vengono registrate;
- le telecamere posizionate a 45 gradi rispetto alla parete di proprietà del vicino, sono in grado di consentire la visibilità della proprietà altrui e quindi vanno rimosse;
- è vietato installare la telecamera nella propria abitazione se può riprendere la finestra del bagno del vicino.
Ne deriva che l’indirizzo dominante era quello di garantire la tutela della riservatezza altrui, disponendo che le riprese negli spazi comuni devono essere soggette al consenso di tutti i condomini. D’altro canto il sopraggiunto Regolamento Europeo per la Privacy ha stabilito che le telecamere possono sempre essere installate se ci sono motivi di sicurezza seri e giustificati.