Nel nostro post sui sistemi antincendio attivi e passivi abbiamo stabilito che la differenza fra i due è sostanziale. La protezione passiva è sempre presente e funzionante, anche in assenza di fiamme, e non necessita dell’intervento dell’uomo o di un impianto per attivarsi. Il suo scopo principale è quello di evitare lo sviluppo di focolai e la conseguente diffusione delle fiamme. La protezione attiva, invece, entra in funzione solo in caso di incendio e solo se avviata da un addetto o da un sistema e il suo fine è quello di spegnere l’incendio.
Fra le prime e più efficaci misure di protezione attiva ci sono i sistemi di rivelazione incendi. Essi si distinguono in base al fenomeno fisico che sono deputati a segnalare: fumo, calore o fiamma.
Le tipologie di sistemi di rivelazione incendi
Come appena detto, esistono sostanzialmente tre grandi famiglie di rivelatori che utilizzano tecnologie diverse per individuare le differenti manifestazioni tipiche di un principio di incendio. Come vedremo di seguito, la scelta dell’una o dell’altra tipologia dipende dal tipo di attività che si vuole proteggere e dai materiali coinvolti nell’eventuale rogo.
Rivelatori di fumo
Il fumo è costituito dai gas prodotti dalla combustione che contengono anche una serie di particelle solide. La composizione specifica ne determina il colore, la densità e la temperatura che a loro volta influiscono sulla visibilità. La rivelazione si basa sulla capacità di individuare le componenti solide, capacità che si esplica attraverso due differenti fenomeni: la diffusione o la diffrazione della luce emessa da una sorgente luminosa e l’alterazione del flusso di particelle ionizzate emesse da una sorgente radioattiva. Ne derivano due diverse tipologie di dispositivi:
- rivelatori ottici, basati sull’effetto del fumo su un fascio luminoso, sono particolarmente adatti a rilevare il fumo generato da materiali a sviluppo lento dell’incendio nella fase covante. Questi materiali, infatti, tendono a produrre fumi più densi che influenzano maggiormente la trasmissione della luce;
- rivelatori radioattivi, basati sull’effetto del fumo sul flusso di particelle ionizzate che si muovono nel campo elettrico originato da due elettrodi di carica opposta. Essi sono più efficienti in caso di incendi a fiamma aperta che danno fumi meno densi, ma il loro utilizzo è sicuramente meno frequente rispetto ai rivelatori ottici.
Rivelatori di calore
Il calore è uno degli effetti più rilevanti di un incendio nella sua fase di sviluppo. Esso genera una serie di reazioni che possono essere adottate allo scopo di monitorarne eventuali variazioni potenzialmente pericolose. Fra tali reazioni vi sono la deformazione di particolari metalli, la dilatazione di liquidi e solidi e l’aumento della temperatura.
A partire da questi fenomeni sono stati sviluppati diversi tipi di dispositivi fra cui i più comuni sono:
- rilevatori a gradiente, che si basano sulla diversa dilatazione termica di due differenti metalli sistemati all’interno di un cilindretto metallico;
- rilevatori di tipo elettronico, dotati di un apparecchio di misurazione della temperatura, il termistore, che cambia la sua resistenza elettrica in funzione delle variazioni termiche;
- rilevatori di tipo lineare, che utilizzano particolari tipi di cavi che reagiscono alla temperatura o alle variazioni di pressione.
Negli ultimi tempi è stato sviluppato un sofisticato sistema lineare basato sull’utilizzo delle fibre ottiche che consentono misurazioni dettagliate anche su lunghezze di grande entità.
Rivelatori di fiamma
I rivelatori di fiamma sono di gran lunga i più efficaci in tutte quelle situazioni in cui, in fase di innesco, lo sviluppo delle fiamme è immediato e molto rapido e accompagnato da poco fumo, come nel caso di incendi di benzina o altri liquidi infiammabili.
Questi dispositivi sono in grado di riconoscere le radiazioni elettromagnetiche proprie della fiamma e sono distinti in base allo spettro cui sono sensibili:
- rilevatori di tipo infrarosso (IR), che percepiscono le radiazioni infrarosse della fiamma su una o più frequenze;
- rilevatori ultravioletti (UV), sensibili alle radiazioni nel campo ultravioletto;
- rivelatori combinati UV/IR, che richiedono, per l’allarme, la presenza combinata dei due segnali.
In generale, e questo vale per tutte e tre le tipologie, essi devono essere in grado di garantire una risposta molto rapida (nell’ordine di pochi secondi) ed un’elevata sensibilità, per poter distinguere fra le radiazioni infrarosse emesse dalla fiamma e altre radiazioni infrarosse che potrebbero essere occasionalmente presenti. Inoltre, poiché devono “vedere la fiamma”, ma hanno una scarsa capacità di aggirare gli ostacoli, è molto importante definirne correttamente il campo visivo.
In conclusione, i sistemi di rivelazione incendi, per essere efficaci, devono essere accuratamente selezionati e progettati in base al contesto, alla tipologia dei materiali infiammabili presenti e alle caratteristiche dell’attività da proteggere. Svolta questa prima operazione, essi possono essere collegati all’impianto di segnalazione allarme o, laddove presente, all’impianto di estinzione.