Con la sentenza 3045 del 6 febbraio 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito che il datore di lavoro che riprende il dipendente che ruba non viola la privacy, se il controllo è finalizzato alla tutela del patrimonio aziendale. Precedentemente anche altre sentenze della Cassazione si erano espresse in materia di controllo del lavoratore e riservatezza, affermando che la videosorveglianza sul lavoro non costituisce reato in presenza di determinate condizioni.

In particolare, se da un lato, i controlli difensivi preventivi e generalizzati sono soggetti ai limiti imposti dallo Statuto dei Lavoratori, dall’altro i controlli difensivi svolti in caso di motivato sospetto sono considerati legittimi.

Il caso in esame

Nel caso in esame, i giudici della Corte hanno ritenuto che le registrazioni fossero finalizzate esclusivamente alla tutela del patrimonio aziendale. La sentenza, infatti, riporta: “le telecamere erano state installate nel piazzale esterno dell’azienda, cioè in un’area aperta al transito di soggetti esterni, e non in locali interni riservati ai dipendenti. Dunque, l’uso della videosorveglianza era destinato alla sicurezza e protezione del patrimonio aziendale, come prescritto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 10636/2017)”.

La Corte ha stabilito, quindi, che la videosorveglianza aziendale non perseguiva specificamente il controllo dei lavoratori, ma che il dipendente era stato semplicemente inquadrato dal raggio di azione delle telecamere mentre svolgeva operazioni di carico all’esterno. Sulla base di queste valutazioni, i giudici hanno “escluso lesioni della privacy dei lavoratori e ravvisato la proporzionalità del mezzo, giacché le riprese erano effettuate in aree visibili e accessibili al pubblico, senza ingerenze nella sfera privata del lavoratore“.
A conferma di quanto stabilito, essi hanno inoltre richiamato il principio secondo il quale il “livello di privacy è minore negli spazi di lavoro aperti al pubblico rispetto agli ambienti strettamente personali”.

Va ricordato che, anche in caso di controlli difensivi ritenuti leciti, l’azienda deve nominare un responsabile del trattamento che provveda alla visione e selezione delle immagini e consegni all’avente diritto solo le riprese necessarie al raggiungimento della finalità dichiarate. In nessun caso le registrazioni possono essere usate per contestare qualità e/o quantità della prestazione lavorativa.

Legittimità della sanzione per il dipendente che ruba

A conclusione dei tre gradi di giudizio, la Corte della Cassazione ha dunque valutato come legittime le riprese effettuate dall’azienda e ritenuto lecita la sanzione del licenziamento del dipendente, nonché proporzionata alla gravità della condotta, consistente nella volontaria e reiterata sottrazione di beni aziendali.

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