La Corte di Cassazione penale, con una recente sentenza, ha stabilito che, ai fini dell’installazione di un impianto di videosorveglianza sul luogo di lavoro, una liberatoria firmata da tutti i dipendenti non può in alcun modo sostituire l’autorizzazione rilasciata dall’ente preposto, sempre obbligatoria in caso di mancato accordo sindacale fra le parti.
Infatti, come descritto estesamente nel post “Videosorveglianza: aggiornato il modulo di autorizzazione per impianti audiovisivi”, l’installazione di telecamere in azienda in presenza di lavoratori è ammessa solo per dichiarate finalità, quali “esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”. Pur rientrando in queste casistiche, è necessario poi il raggiungimento di un accordo con le rappresentanze sindacali o, in alternativa, l’autorizzazione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Il caso oggetto della sentenza
Nel caso in esame invece, il datore di lavoro, pur avendo richiesto il rilascio di tale autorizzazione, non ne aveva atteso il conseguimento prima di installare le telecamere. Dopo che l’impianto di videosorveglianza gli era stato contestato, egli aveva fatto pervenire all’Ispettorato una liberatoria firmata da tutti i dipendenti. Tale misura non è stata ritenuta in alcun modo legittimante, non solo perché il documento era stato depositato successivamente alla realizzazione dell’impianto, ma anche perché, sulla base degli ultimi orientamenti giurisprudenziali, esso non può assolutamente sostituire l’accordo sindacale o l’autorizzazione dell’ente.
L’attuale indirizzo giurisprudenziale infatti è quello di ritenere il rispetto della privacy dei lavoratori un diritto collettivo e superindividuale che non può essere esercitato dal singolo, anche inteso come l’unanimità dei dipendenti. Inoltre l’assenso dei lavoratori potrebbe essere stato condizionato dalla posizione di soggezione di questi nei confronti del datore di lavoro. E’ proprio sulla base di questa considerazione che lo Statuto dei Lavoratori prevede la formazione di rappresentanze sindacali atte a gestire gli accordi in materia di videosorveglianza sul luogo di lavoro.
Infine la Corte non ha ritenuto un elemento attenuante neanche il fatto che il datore di lavoro non avesse accesso alle registrazioni in quanto la gestione delle stesse e dell’impianto era stato affidato ad un soggetto terzo.